ORARI DELLA SANTE MESSE

FERIALI

8.00 – 18.30

FESTIVE (INVERNALI)

8.00 – 9.30 – 11.00 – 18.30

FESTIVE (ESTIVI)

8.00 – 10.00 – 18.30

DOVE SIAMO

LA NOSTRA CHIESA

LA STORIA

ORIGINE DELLA CHIESA

E’ il 1292 l’anno in cui per la prima volta si fa accenno di una chiesa a Martellago, in una lettera circolare mandata dal Vescovo di Treviso al pievano di Mestre, ma solamente cinque anni dopo nel 1297 in un altro documento è nominato per la prima volta il titolare della chiesa Santo Stefano protomartire. Il paese di Martellago però è nominato già nel 1085 in una lista di beni dell’Abbazia Pisani e in seguito nella bolla del 1152 di papa Eugenio III°  il quale nomina tra i beni di pertinenza e di giurisdizione del Vescovo di Treviso  anche la pieve di Martellago. Non si conosce però la ragione della dedicazione della chiesa a Santo Stefano, si sono fatte alcune ipotesi, la più seria sembrerebbe che in antico il villaggio appartenesse al territorio altinate, e che qui arrivasse il confine ovest, resta il fatto che la dedicazione al santo diacono indica l’antichità e la nobiltà del luogo visto che soprattutto le chiese vescovili o arcidiaconali come Altino e Concordia avevano per titolare Santo Stefano. E se ieri nel passato la parrocchia di Martellago era posta ai confini della diocesi di Altino attualmente e per strano caso dal 1927 è posta ai confini sud-est con il patriarcato di Venezia. La parrocchia nel passato è stata sede dell’antica Congregazione dei parroci di Santo Stefano cui faceva capo le parrocchie di  Maerne, Campalto, Mestre, Trivignano, Zelarino, Chirignago, Tessera, il parroco di Martellago  aveva il titolo di primicerio, con la cessione di Mestre e di altre parrocchie avvenuta nel 1927 l’antica congregazione ha cessato di esistere.

Nel 1977 si è celebrato il 2° centenario di consacrazione della chiesa parrocchiale avvenuta il 21 settembre 1777  dal Vescovo di Treviso Francesco Giustiniani. Il sedime dell’attuale chiesa  è  con certezza su fondamenta di altri edifici, difatti in un documento del secolo XIV si apprende che la chiesa era  dotata di un portico.

Una nota a parte merita l’antichissimo ospitale di Santa Maria che sorgeva vicinissimo alla chiesa, fu per secoli rifugio di pellegrini che si recavano a Venezia,  luogo dedicato all’assistenza degli infermi, dei poveri, dei miserabili. Da recenti ricerche è emerso che la notte dal 7 all’8 gennaio 1537  trovò ospitalità in questo edificio il beato Pietro Favre che fu il primo compagno di san Ignazio di Loyola e successivamente il primo sacerdote della Compagnia di Gesù.

IL CAMPANILE

IL CAMPANILE NEL 2009 HA COMPIUTO 400 ANNI

Purtroppo assai scarse sono le notizie sulla primitiva chiesa di Martellago, sappiamo con certezza  da un atto notarile del 1394, che la chiesa era provvista di porticato, nel documento non si cita l’esistenza del campanile anche se non è da escluderne tuttavia la sua presenza.  Le prime prove certe della sua esistenza risalgono verso la fine del secolo XVI quando nel 1582 vengono annotate in un registro economico della chiesa   le spese sostenute per la manutenzione delle campane e la sostituzione di corde nel campanile.

Ma è durante la visita pastorale del Vescovo Francesco Giustiniani eseguita il 10 giugno dell’anno 1609 che troviamo nel verbale una nota molto interessante inerente il campanile:

“…che quanto prima si proceda alla rovina che minaccia il campanile e perché la spesa sarà grande si contenta per questa volta si possino acciò impiegar le rendite dell’hospedale senza pregiudizio però dei poveri soliti alloggiar in detto hospitale … comandando che le note suddette siano effettivamente eseguite in termini di sei mesi eccetto per il campanile al  quale si provveda e dia principio subito…”.

E i lavori iniziarono immediatamente come testimonia la lapide tutt’ora  murata sopra la porta del campanile, difatti il parroco Nadal Pizzato primo massaro, e Tomio Carraro secondo massaro, nonchè Giulio Pizzato terzo massaro,  risultano in carica nel biennio 1609 – 1611. Sarà invece nel 1613 che i lavori conobbero la fase più importante come  è confermato da diverse note di spesa per  acquisti di materiali.

Sempre nello stesso anno venne demolito il portico addossato alla chiesa e molto probabilmente le pietre furono impiegate nei lavori di riparazione del campanile. Stranamente nei registri economici parrocchiali non sono mai riportate spese di demolizione del vecchio manufatto, ne tanto meno vi è alcun accenno allo scavo di nuove fondamenta,  da ciò si può dedurre che l’attuale campanile è una ristrutturazione di una primitiva costruzione anteriore al secolo XVI. Merita ricordare che una parte delle pietre servite per formare le nuove murature provengono dalla demolita chiesa di Robegano. I lavori termineranno verso il 1621 quando saranno issate le campane e registrate le ultime spese.

Dovranno passare quasi 100 anni per riscontrare altre spese  di una certa importanza, anche perché nel 1731 venne colpito da un fulmine che provoca una vittima, qualche anno più tardi precisamente nel 1735-6 si fanno diverse collette per il paese e  quasi tutte le confraternite contribuiscono con proprie somme per “governar il champanile”, si sostituisce perfino la figura in rame di Santo Stefano che dominava sulla croce spaziale nella sommità del campanile,  e per la prima volta nei registri economici si accenna all’esistenza di un orologio.

Con il passare degli anni non solo il campanile sarà fonte di preoccupazione e di spese  per la popolazione di Martellago, difatti dopo la metà del ‘700 anche la chiesa per la sua vetustà accuserà danni gravi tanto da essere puntellata in più parti perché minacciava il crollo. E nel 1774 mentre era in grande attività il cantiere per i lavori di costruzione della nuova chiesa  si decide con l’assenso di tutto il paese di rifondere le due campane presso il Sig. Zuanne Soletti di Treviso per la somma complessiva di lire 800.

Altri lavori importanti si imposero sul campanile dopo  il 1825, quando vistose crepe, nonché cadute di pietre dalla sommità o pigna consigliarono di incaricare l’ing. Michele Fapanni a presentare un progetto di restauro complessivo. Va ricordato altresì che i lavori di ristrutturazione vennero affidati alla ditta Ambrogio Pellanda  di Venezia a seguito di un’asta pubblica a cui parteciparono più ditte così come previsto dalle nuove norme austriache.  

I lavori iniziarono il 27 aprile 1829 e terminarono nei primi sei mesi del 1830. Verso la fine del 1800 si resero necessari altri lavori di restauro. Si verificarono, infatti ancora cadute di pietra dai cornicioni, stacchi di intonaci ed altri inconvenienti. I lavori iniziarono dopo la primavera del 1900 e ci fu chi propose addirittura di abbattere il campanile e di ricostruirlo in un altro sito, ma queste idee vennero giudicate pura utopia come riportato nel verbale del 21 maggio 1900 del Comitato Parrocchiale: “Finalmente dice una parola anche sul lavoro del campanile che cioè il volerlo cambiar di posto è una utopia”. Con l’occasione si sostituì inoltre il vecchio orologio con un nuovo modello e venne costruito in aggiunta il quadrante ad est. Va ricordato che come sempre, tutta la parrocchia si mobilitò per aiutare il parroco Don Bigolin, ci fu chi si adoperò ad offrire il proprio carro per i viaggi di provvista di pietre e calce, chi offrì invece bozzoli di bachi da seta, chi la propria manodopera gratuitamente. A ricordo di ciò venne murata una piccola lapide sopra l’ingresso del campanile con la seguente iscrizione: “anno 1900 – IESUS CHRISTUS – DEUS HOMO – VIVIT REGNAT IMPERAT”.

Ma fu nel 1976 che la parrocchia sperimentò per alcuni mesi l’assenza del suono delle campane, difatti tutte e tre erano ridotte in uno stato di completa inefficienza. E’ un continuo venerdì santo! Questa fu un’espressione che alla domenica si raccoglieva sul sagrato da parte della gente che usualmente si fermava dopo la messa a raccontarsi le ultime novità della settimana. Fu deciso dalla Comunità  a seguito di un’assemblea svolta il 9 febbraio 1977 e con il beneplacito del Consiglio di Amministrazione presieduto dal parroco Don Luigi Boffo di procedere alla fusione di tutte e tre le campane  ampliando altresì il concerto da tre a quattro campane. Il peso complessivo delle vecchie era 25 quintali, mentre le nuove raggiunsero i 33 quintali, furono benedette dal Vescovo Antonio Mistrorigo il 10 giugno 1977, e iniziarono a suonare il 26 giugno.

Successivamente altri lavori di manutenzione ordinaria vennero effettuati nel 1987 riguardando la tinteggiatura e il completo rivestimento esterno della cuspide con pannelli di rame.

Ma sarà durante l’anno 2008 esattamente a 399 anni di distanza dai lavori di ricostruzione del 1609 che il campanile sarà oggetto di una nuova e completa manutenzione. Tutti gli interventi sono stati costantemente supervisionati dall’architetto Luigi Cerocchi responsabile di zona della Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici del Veneto Orientale, su progetto e direzione lavori affidati all’architetto Marco Michieletto di Martellago.  Infine non va scordato l’ex parroco Don Luigi Boffo a cui va il merito e i plausi di tutta la comunità di Martellago per l’iniziativa fortemente desiderata quasi a compimento dei suoi 34 anni di guida spirituale della comunità di Martellago.

IL RESTAURO

IL RESTAURO DI TRE SPLENDITE EFFIGI MARIANE DELL’IMMACOLATA

Nella vita della Madre di Cristo, il primo mistero che s’incontra è la sua Immacolata Concezione. L’arte di fronte a questa verità di fede è rimasta spesso muta poiché è alquanto difficile esprimere sensibilmente “l’istante di grazia di quella Concezione privilegiata”[1]“La dottrina secondo la quale la Beatissima Vergine Maria fin dal primo momento della sua Concezione, in base a una particolare grazia di predilezione da parte di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, redentore del genere umano, fu preservata da ogni macchia del peccato originale, fu  rivelata  da Dio e deve perciò essere custodita fermamente e immutabilmente da tutti i fedeli” con queste parole Pio IX definì il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, nella basilica vaticana l’8 dicembre 1854. Una conclusione dogmatica che ha avuto una più che millenaria vicenda dottrinale, e la ratifica di una tradizione assai lunga nella chiesa.  Già nel V secolo in Oriente si celebrava la festa dell’Immacolata Concezione di Maria Vergine mentre in Occidente questa festa risale almeno al IX secolo. Immacolata Concezione: cioè come dice la bolla Ineffabilis Deus di Pio IX, fu preservazione da “ogni macchia del peccato originale”. La decisione di Pio IX fu accolta con molto favore dal mondo cattolico; a Roma in Piazza di Spagna a ricordare tale evento fu innalzata una grande colonna con la sommità coronata da un’immagine della Vergine e da allora ogni anno l’8 dicembre i Papi si recano a onorarla. Il dogma di Pio IX in modo incoraggiante indicò nella figura di Maria e nella sua Immacolata Concezione la vittoria della grazia sulle forze del male. Anche nella  nostra parrocchia la devozione all’Immacolata è particolarmente sentita, e difatti  si contano diverse immagini sacre con-servate sia in chiesa che nei tradizionali capitelli posti lungo le vie cittadine. L’immagine senz’altro più antica è quella alloggiata in un’insegna proces-sionale lignea attualmente conservata nella chiesa parrocchiale. La Vergine è raffigurata[2] ritta in piedi sopra una base a sfera raffigurante il mondo; tra le pieghe della veste di colore argento, in basso, si nota un serpente a cui sta schiacciando la testa, chiara raffigurazione della sconfitta del male, mentre ai lati del mantello si nota la  Luna, ravvisata da due spicchi appuntiti di colore argenteo. A rendere più armoniosa la scena, sempre ai lati della statua, sono collocati  due piccoli angeli interamente dorati che in ginocchio adorano e con le mani sembrano invocare lo sguardo della Vergine. Un’altra immagine identificante l’Immacolata, che recentemente è ritornata alla pubblica venerazione, è quella che possiamo ammirare nel nuovo capitello sorto in Via Mario Paolazzi per volontà del geom. Ilario Michieletto.  Questo nuovo sacello raccoglie in sé delle testimonianze della storia ottocentesca martellacense: sia la statua che la grata esterna provengono da un  vecchio capitello, costruito nei primi dell’800 all’incrocio della via Castellana con via Morosini, che venne demolito nel 1967 per allargare la strada e successivamente sostituito con una semplice colonna di marmo, proveniente dalla Curia di Treviso, alla cui sommità venne collocata  un’immagine moder-na di Maria Immacolata. Per molti anni la vecchia statua in gesso dipinto e la grata recuperati dalla demolizione vennero custoditi dalla signora Ester vedova Tronchin, che succes-sivamente consegnò il tutto al geom. Ilario Michieletto, con la richiesta che fosse in  futuro impiegati in un nuovo capitello.  E l’impegno è stato mantenuto! Il 25 maggio 2011 il nostro parroco don Giorgio,  con la partecipazione di don Luigi  e con una folta adesione di fedeli, ha solennemente benedetto il nuovo sacello. Grazie al competente lavoro di restauro della dottoressa Francesca Braga, la vecchia statua in gesso dipinto ha rivelato sotto lo sporco accumulato negli anni una particolare raffinatezza d’esecuzione. La Vergine è raffigurata in piedi sopra una nube attorniata da tre volti d’angeli; tra i piedi si nota la luna,  mentre con le mani incrociate al petto trattiene parte del suo mantello azzurro. Quest’ultimo sembra quasi staccarsi da essa come per un colpo di vento improvviso, che si intuisce dalla vistosa piega che assume sul davanti. Anche il volto  della Madonna rivela una certa accuratezza d’esecuzione; la mancanza di un velo sul capo  svela la sua giovane età, come pure la magnifica e lunga capigliatura che, scendendo sulle spalle,  esce in parte sul fianco destro anch’essa mossa da quell’improvviso e misterioso colpo di vento. Un’altra immagine dell’Immacolata molto ricercata e pre-ziosa è quella che fino agli anni ‘80 era conservata nell’antico capitello ottocentesco, edificato poco distante dal cimitero. L’artistica statua in marmo di Carrara è giunta a Martellago nel 1950 proveniente, in cambio d’un prezzo simbolico, da un orato-rio di Venezia e fu collocata da mons. Giuseppe Barbiero in ricordo della proclamazione del dogma dell’Assunta. Fortunatamente il nostro parroco emerito Don Luigi, su consiglio del dottor Pierfrancesco Combi,  ebbe la felice intui-zione di sostituire l’originale con una copia in gesso[3], difatti qualche anno dopo quest’ultima fu trafugata da ignoti, ma accortisi dello scarso  valore dell’oggetto, venne abbandonata lungo un fossato delle vicine campagne. L’originale nel frattempo venne conservato in canonica finché, durante i recenti lavori di restauro dell’edificio, si decise di sottoporla ad un accurato intervento di pulizia da parte della dottoressa Eva De Lazzari sotto il diretto controllo della Sovrintendenza alle Belle Arti di Venezia[4]. La bellezza  di questa scultura, di chiara impronta veneziana settecentesca, è molto particolare. La Vergine è avvolta in un lungo manto che scende dalla testa e si raccoglie in parte sul braccio destro, mentre con un gesto quasi d’umiltà,  essa reclina leggermente la testa verso destra, raccogliendo nel contempo le mani sul petto. Alla base della scultura, oltre a due graziose testoline di angeli,  si intravedono scolpite la Luna e il malefico serpente, anche se purtroppo quest’ultimo è spezzato e mancante in più punti. La statua attualmente è collocata in chiesa sull’altare del Rosario e denota tra l’altro una somiglianza alquanto emozionante con la retrostante Vergine del Rosario dipinta da Lattanzio Querena nel 1824. Mi preme altresì ricordare che il nostro Comune[i] nel 1954, ricorrendo il primo centenario della proclamazione del dogma dell’Immacolata, è stato consacrato alla Madonna. Per ricordare tale evento all’incrocio tra via Ca’ Nove e via Castellana venne collocata e benedetta da mons. Giuseppe Barbiero una statua in pietra d’Istria a grandezza naturale  della Vergine, scolpita a Vicenza e dono della famiglia Paolazzi.


[1] AA.VV. La Madonna e l’Eucaristia, documentazione iconografica, Roma 1954 [2] L’immagine si riferisce a quanto descritto nel libro dell’Apocalisse di S. Giovanni Apostolo al capitolo 12. [3] La copia venne eseguita da Luigi Bonaldo di Zero Branco. [4] Anche il presente restauro è stato offerto da una nostra parrocchiana.

IL RESTAURO

IL RESTAURO DELL’ANTICA PIANETA DEI “MARTIRI DEL SEC. XVI”

Qualche decennio fa, su disposizione della Curia di Treviso si è proceduto ad un inventario totale di tutti i beni mobili appartenenti alla nostra chiesa parrocchiale. Il lavoro di schedatura e di descrizione meticolosa di tutti gli oggetti è durato ben due settimane, durante le quali si sono aperti molti cassetti ed esplorati gli angoli più reconditi della canonica e della chiesa.  Ed è proprio in occasione di tale lavoro che ho riscoperto uno dei paramenti più antichi della nostra chiesa. Prima di procedere alla descrizione di tale bene, premetto alcune notizie storiche sui paramenti liturgici che abitualmente sono utilizzati durante le cerimonie religiose.

Forse non tutti sanno che le vesti liturgiche cristiane derivano dalle antiche vesti greco-romane. Difatti gli abiti indossati dalle persone di condizioni più agiate nei vari momenti della vita sociale, furono adottati anche nelle celebrazioni del servizio liturgico.

Questa identità di costume, civile e liturgico,  si mantenne nella chiesa per molto tempo. Successivamente con le invasioni barbariche e con l’affermarsi dei costumi di questi popoli, cominciò a delinearsi un notevole cambiamento nella moda comune, che condusse alla diversificazione sempre più marcata delle vesti civili da quelle ecclesiastiche.

Mentre le vesti civili con il tempo subirono delle modifiche, ciò non avvenne per quelle ecclesiastiche perché la chiesa impose ai chierici l’utilizzo delle vesti antiche. Questa  prassi di conservare le vesti romane per le celebrazioni portò lentamente ad un processo di sacralizzazione di quest’ultime, tanto che  l’abito romano divenne con il passare del tempo sempre più inusuale nel mondo civile proprio perché era considerato un abbigliamento sacro. Un ulteriore sviluppo  del vestiario liturgico si ebbe all’epoca dei Carolingi, quando le vesti proprie dei singoli ordini ecclesiastici vennero definitivamente fissate nella forma che conservano fino  ai giorni nostri. Le ultime fasi nello sviluppo del costume liturgico si compiono nel secolo XII con il definirsi dei colori, e soprattutto con l’adeguamento delle vesti tradizionali alle esigenze di maggior praticità, senza contare la ricerca di una sempre maggiore ricchezza dei tessuti con cui venivano confezionate.

 Le vesti liturgiche si suddividono  in due  gruppi: le sottovesti  e le sopravesti.

 Le sottovesti.

L’amitto o mantelletto è un grande fazzoletto di lino bianco indossato attorno al collo prima di mettere l’alba o camice per preservare la pulizia degli indumenti liturgici.

Alba detta anche camice, è una sottoveste bianca del tipo della tunica romana talaris e manicata. In antico era di lana, poi si usarono anche il lino e la seta; oggi si usa anche il terital, tessuto sintetico. Fu spesso abbellita e ornata con ricami e stoffe preziose attorno alla falda e ai polsi in forma di fascia, più tardi dall’arte del merletto.

Cingolo, è un cordone con il quale si stringe ai fianchi il camice.

Cotta, detta anche superpelliceo, è una veste di provenienza nord-europea. Si trattava in origine di un’alba molto ampia e comoda da indossare da parte degli ecclesiastici sopra gli abiti civili, costituiti nei paesi freddi  da pellicce larghe e pesanti, durante l’ufficio corale. Poi divenne veste liturgica per tutti i chierici, ampia e maestosa; dal secolo XVII fu assai accorciata e riccamente guarnita di merletti. Nella disciplina attuale è come il camice, veste ordinaria per la celebrazione dei sacramenti.

 Le sopravvesti liturgiche.

Casula-pianeta, (piccola casa) è detta anche pianeta, deriva dall’antica paenula romana, nel medioevo era una veste comune a tutti i chierici, dalle forme lunghe e maestose. In origine la forma ampia della casula non facilitava i movimenti delle braccia, per cui, un po’ alla volta fu confezionata in forme sempre più ridotte, fino a quella  moderna. Fu pertanto confezionata in svariate fogge; si usarono tuttavia sempre tessuti di pregio e fu spesso decorata con preziosi ricami, talvolta anche  con uso dell’oro e delle perle. Poiché è l’abito indossato sopra tutti gli altri, ha assunto nel medioevo il simbolismo della carità, virtù che ricopre una moltitudine di peccati.casula romana

Dalmatica e la tunicella. La dalmatica dal III secolo divenne nell’uso romano la sopraveste delle persone più ragguardevoli, e come tale si mantenne anche nell’uso ecclesiastico. Già nel IV secolo divenne pure un abito d’onore per i diaconi. Conservò  la sua forma primitiva fino al Mille, fu successivamente accorciata e aperta sui fianchi e dal secolo XVI vennero aperte le maniche. La tunicella è una imitazione della dalmatica e fu usata come veste pontificale e più tardi come abito del suddiacono. Quanto alla forma, subì le stese vicende della dalmatica.

Piviale, detto anche cappa, trae la sua origine molto probabilmente dalla paenula, era provvisto in origine di cappuccio per la pioggia, aperto sul davanti per la comodità. E’ lungo fino ai piedi a significare la perseveranza nel compiere le azioni. È aperto sul davanti, a significare che a coloro che si comportano rettamente si apre la vita eterna, rappresenta anche l’immortalità del corpo, e per questo viene indossato solo nelle festività solenni.

Stola, appartiene alle insegne liturgiche, l’origine e l’evoluzione non sono ben chiare, è emblema dell’umiltà, rappresentando il giogo “leggero e soave” del Cristo. In origine era un’insegna dei diaconi che la portavano sulla spalla sinistra, dal secolo XII fu usata a tracolla e annodata sul fianco destro. Come insegna vescovile-presbiteriale, era portata facendola girare attorno al collo, incrociata sul petto e fermata con il cingolo, sotto la casula o pianeta.

I colori.

Altro elemento importante  delle vesti liturgiche, è il colore che è funzionale alla descrizione dei misteri che si celebrano nel corso dell’anno e nei singoli giorni del culto. Attualmente la liturgia prevede cinque colori: bianco, rosso, nero, viola e verde.

Bianco è il colore della gioia e della bellezza, dell’esultanza, dell’innocenza. Si adopera nelle feste del Signore, della Vergine e dei Santi che non patirono il martirio.

Rosso, ricorda il fuoco e il sangue, si usa nella domenica di Passione, nel Venerdì santo, nella domenica di Pentecoste, nella festa natalizia degli Apostoli e soprattutto nelle celebrazioni dei santi Martiri.

Nero,  è il colore della privazione, della tristezza e del lutto, nel passato si usava per i defunti,  per l’avvento e la quaresima, oggi è in concreto scomparso  – anche se non vietato –  ed è stato sostituito dal viola.

Viola, è segno di potenza e di autorità, si usa in tempo di avvento e di quaresima e negli Uffici e nelle Messe per i defunti.

Verde, si usa negli Uffici e nelle Messe del tempo ordinario.

l’antica pianeta dei Martir Come accennato nella premessa, tra i vari paramenti posseduti dalla nostra parrocchia, uno in particolare spicca per la sua originalità. E’ una pianeta del secolo XVI, in damasco cremisi (di colore rosso acceso). Sulla facciata anteriore entro una porzione a T, compaiono (dall’alto verso il basso) in uno spazio delimitato da archi trilobati, sormontati, nelle porzioni centrali, da tre cupole rotondeggianti con lanterna tripetala, due Santi. Il primo in alto, non identificato poiché molto consunto, è affiancato da due figure a mezzo busto raffiguranti un angelo e la Madonna (Annunciazione). Il Santo nella parte inferiore è molto probabilmente San Liberale raffigurato con la palma del martirio nella mano destra, mentre con la sinistra regge una spada. Sul verso, ripetendo  la medesima costruzione architettonica, sono raffigurati tre Santi, ognuno dei quali ha il proprio nome ricamato sopra il capo.

Il  primo in alto è il nostro Patrono santo Stefano, vestito da diacono, mentre con la mano destra tiene la palma del martirio e con la sinistra regge il libro delle sacre scritture; al centro troviamo  san Giovanni Battista, infine nella parte inferiore S. Ignazio di Antiochia, vescovo e martire che nella mano destra regge un cuore, suo attributo specifico. Difatti  secondo una leggenda, alla sua morte dopo il martirio i fedeli che estrassero il cuore vi trovarono inciso il monogramma di Cristo – IHS.

Mi sono chiesto spesso chi poteva essere il committente di questa  pregevole pianeta. L’archivio parrocchiale più volte consultato non mi ha rivelato alcun documento particolare. La  risposta che cercavo era però in bella mostra proprio tra gli ultimi due santi innanzi descritti. Per meglio comprendere tale problema bisogna risalire al 1537 quando a Martellago era parroco un illustre letterato della Repubblica Veneta,  che guarda caso si chiamava Giovanni Battista Egnazio, proprio come i santi raffigurati sul verso della pianeta. Non penso sia un caso, anzi è risaputo che in antico i committenti di molte opere d’arte facevano rappresentare il corrispettivo santo protettore sui doni che offrivano.

Oggi a distanza di quasi cinque secoli, noi possiamo ammirare questa pianeta completamente restaurata.

Grazie all’interessamento della Banca Santo Stefano di Martellago e alla professionalità della dr.ssa Raffaela Prodromo di Vittorio Veneto, la pianeta dei “Santi Martiri” continuerà a parlarci della fede dei nostri padri e della storia della nostra Comunità viva.

STATUA MARIANA DEL SANTO ROSARIO

L’Antica Statua Mariana del Santo Rosario o “Madonna Astori” 

…mi faccio sollecito a farle avere col mezzo del suo buon gastaldo Angelo Semenzato il totale importo del suddetto solaio, che favorirà ella passarle in mano del Molto reverendo Religioso, e in pari tempo la supplico di pazientare a tenerlo presso di se in deposito sino al venturo maggio, mentre allora collo stesso incontro della barca, che trasporterà, come dissemi il Semenzato,  la di Lei botte qui, si trasporterà qui anche il detto solaio.  Io sono contento dell’acquisto fatto pella qualità descrittami del lavoro, per essere ben conservato, e pella modestissima spesa, ma, ma… ma… bensì vengo a dire che dopo aver fatto tutto questo non si ha fatto niente, e che resta il più cioè una statua della Beata Vergine che vi poggi sopra o in trono od in piedi, una statua colossale, una statua di buon intaglio, una statua eseguita colla maggiore decenza, per non fare, come suol dirsi, una scarpa e un zoccolo.

Io… Illustrissimo Signore, avrei un progetto da rassegnarle, che aggiusterebbe il tutto e presto e glielo rassegnerei, se non avessi la paura di esserle troppo inopportuno… cosa dunque debbo far io? Dire o tacere? Sarà quello sarà. La Madonna mi fa coraggio ad esporglielo, e la Madonna darà pazienza a Lei di ascoltarlo. Io so, perché me lo disse Angelo Semenzato, che Ella Illustrissimo Signore tiene presso di se la Immagine della Madonna del Rosario, la quale era posta anticamente sul nominato solaio, il tutto fatto dalla pietà religiosa de suoi buoni vecchi ; e so ancora, ch’ella non la vuole vendere alcerto. Non la venda, nò nò. Sarebbe un’azione vile, indegna di Lei, e di affronto a Maria Santissima. Non la venda nò nò. Ma … se invece di venderla, la donasse alla povera mia chiesa parrocchiale, ove sino dal giorno 26 maggio dell’anno 1640 in data di Roma esiste un diploma in foglio di carta pecora della istituzione della Confraternita del santo Rosario; ove da tre anni abbiamo fatto una palla nuova della Beata Vergine del Rosario dipinta dal Querena, ove ogni anno si fa solenne funzione con processione  in quel giorno di gran concorso di gente anche forestiera… non farebbe Ella un’opera grata al popolo di Martelago divoto del Rosario….. Oltre ciò donandola alla mia parrocchia Ella si farebbe un merito esimio oltre che verso Maria Santissima anche verso il mio popolo, mentre da me verrebbe pubblicato il di Lei nome affinché si sapesse chi ne fu il benefattore…

Martelago li 28 gennaro 1828

                                                                                                                                                      Umile servitore

                                                                                                                                          Pietro Simionato Arciprete[1]

Questo è un breve estratto di una lettera indirizzata al nobile veneziano Vincenzo Astori, dal parroco di Martellago don Pietro Simionato. Dal testo della missiva si comprende molto chiaramente che don Pietro Simionato era al corrente – grazie anche all’informazione di un suo  parrocchiano Angelo Semenzato  – che l’Astori conservava nel proprio palazzo a Venezia  un’antica immagine della Madonna del Rosario, già venerata nella chiesa di S. Matteo, sestiere di S. Polo.

Don Pietro Simionato a cui stava molto a cuore il decoro della chiesa parrocchiale e soprattutto la fede del suo popolo studiò ogni azione utile per riuscire ad ottenere questa importante immagine  che avrebbe così potuto conferire una maggiore solennità alla processione del santo Rosario che da antica memoria si svolgeva per le vie del paese di Martellago.

Le prime notizie sull’esistenza di questa antica immagine mariana risalgono al 1663 quando nel libro cassa  dell’omonima confraternita con sede nella chiesa di san Matteo[2] di Venezia, è annotata la spesa di lire 31 per “far depenzer la Madonna che si porta in procession”[3] e ancora esistente nel 1806, come provano due inventari: il primo, quello delle Donne per l’invocazione della Beata Vergine del Rosario in san Matteo, presenta tra i beni della Scuola “1 Beata Vergine granda da intaglio con suo Bambino che si porta in procession il giorno 8 settembre” alla quale appartengono una corona e due scettri d’argento, un soler di intaglio dorato con sue mazze e vide”, “1 armer e casson per poner la Madonna”, “1 abito di ricamo d’oro”[4] , il secondo, stilato a fini di statistica demaniale, elenca anche una carpetta, un busto e un “velo broccato d’oro con guarnizione” della stessa immagine.[5] Alla soppressione e successiva demolizione della chiesa di san Matteo avvenuta nel 1807, l’immagine passò direttamente in casa  Astori. In quanto ricchi commercianti residenti vicino a san Matteo, in campiello Sansoni 895, non potevano non avere rapporti con la Confraternita. Lo dimostrano chiaramente i versamenti effettuati nel 1662 da due donne della famiglia, Giulia ed Elena, la prima delle quali iscritta tra le consorelle nel 1661, le frequenti offerte di denaro nel corso del Settecento in favore della Vergine  da portare in processione, e la nomina con votazione unanime della signora Caterina Astori a Governatrice della scuola nel marzo del 1778[6].

L’antica immagine  dopo la soppressione della chiesa di san Matteo fu esposta per un periodo in quella di san Giovanni Elemosinarlo a Rialto, e infine priva di venerazione  fu lasciata in uno stato di abbandono in casa Astori fino al 1828. Qui molto probabilmente fu vista da Angelo Semenzato detto Campalto affittuale e gastaldo dei beni che gli Astori possedevano a Martellago, difatti i frequenti viaggi che quest’ultimo faceva a Venezia per discutere di affari contingenti il suo incarico, lo portarono ad aver notizia dell’esistenza del simulacro mariano. Quando il parroco don Pietro Simionato venne a conoscenza di questa novità, non perse tempo, subito scrisse al signor Astori, e lo convinse a cedere l’immagine in cambio della celebrazione annuale e in perpetuo di tre Sante Messe a favore dei defunti della sua famiglia.

E il 26 luglio 1829 in casa canonica di Martellago alla presenza di n. 43 iscritti alla Confraternita del Santissimo Sacramento il parroco illustrò il prezioso dono della famiglia Astori a favore della chiesa di Martellago e in tale occasione fu sottoscritto l’impegno a celebrare in perpetuo delle sante messe per i defunti dei donatori[7].

Due giorni dopo, il 28 luglio, i fabbriceri di Martellago si trasferirono a Venezia a prendere la preziosa statua e con una barca  fino a Mestre e poi con un carro trainato da buoi rientrarono in paese tra la curiosità della popolazione tutta.

Qualche mese dopo durante la festività del santo Rosario, don Pietro Simionato così scrisse al Sig. Vincenzo Astori:

Illustrissimo Riverissimo Signore

Malgrado il tempo cattivo anteriore e le pessime strade qui si ebbe la santa compiacenza, che il giorno del Santissimo Rosario si rasserenò il cielo, che mostrava di essere torbido, ricomparve il sole a consolarci ed ebbesi il comodo tempo di verificare per la prima volta la santa processione colla veneratissima immagine di Maria Santissima esposta in chiesa sino dalla sua vigilia alla pubblica venerazione. Il giorno dunque del Santissimo Rosario dopo pranzo il concorso di gente forestiera, già solito essere grande, fu quest’anno più numeroso anche o per la divozione o per la pia curiosità del nuovo oggetto, coll’intervento anche di molte persone limitrofe di qualche riguardo.

Tutti restarono persuasi della gravità, dell’ordine, della decenza di questa funzione e molto più della bella Immagine Santissima che ne formava il vero punto centrale. Ciò le scrivo a sua consolazione. Le occludo l’atto autentico della seguita mortuaria ufficiatura, supplicandola di presentare i miei rispettosi complimenti alla consorte, al figlio, ed a quanti di casa sua ebbero parte in questa santa opera. Sempre più ci benedica Iddio Signore. La riverisco rispettosamente.

Martelago li 18 ottobre 1829

                                                                                                                       Suo devotissimo obbligatissimo servitore

                                                                                                                                        Pietro Simionato arciprete.[8]

Anche Francesco Scipione Fapanni ebbe a scrivere nei suoi diari più volte della processione che si svolgeva ma di tutti gli appunti la più rilevante descrizione si trova precisamente il 7 ottobre 1883:

Domenica 7 ottobre 1883

…Cantato il vespero, agli spessi rintocchi del sonar a campanò, uscì la processione di chiesa. Essa teneva l’ordine seguente, che qui di seguito per memoria de’ posteri (se di posteri arriveranno questi miei diari), notando però che posso aver sbagliato l’ordine in qualche punto. Precedeva innanzi a tutti il pennello di S. Stefano, titolare, con 2 aste. Poi fanciulli maschi. Seguiva:

– segnale di Maria Vergine Concetta (in addietro era del SS. Rosario, come di fatto qui dovrebbe essere) con 2 ciri. Contadini e parrocchiani.

– Crocefisso, con aste. Contadini.

– Statua della Beata Vergine col Bambino in braccio, stante in piedi, su dorato soler, vestita di drappo d’argento, e manto celeste. Circondata da 4 ciri. Veduta di lontano a mezzo della processione, fa un effetto bellissimo, quand’è illuminata dal sole.

– Segnale del Santissimo Sacramento con ciri. Divoti parrocchiani.

– Croce capitolare, chierici e i due candelieri. Parrocchiani ascritti alla scuola del Santissimo Sacramento con candela.

– Cantori del coro, che cantano le litanie lauretane.

– Tre preti colla reliquia di Maria Vergine ed ombrella da una sola mazza. Circondati da aste e da fanali.

– Tutte le donne.

E così sfilò tutta la processione circa mezzo chilometro pel prato, volgendosi agiatamente in esso pel ritorno. Assai bell’effetto essa fa percorrendo un verde tappeto d’erba dalla pioggia ore innanzi ravvivata. Ritornati in chiesa, si compirono le preci all’altare della Beata Vergine. Vennero dalle ville vicine moltissimi contadini, specialmente i giovani d’ambo i sessi e da Maerne io ne vidi capitar a frotte[9].

Questa sacra immagine continuò ancora per  diversi anni ad essere esposta per la festività del Rosario, almeno fino al 1921, quando (per ragioni al momento scono-sciute) don Giuseppe Barbiero acquistò in Val Gardena una nuova statua scolpita da Ferdinando Demetz[10]. Riposta in soffitta della chiesa, privata dei vestiti, mutilata in più parti  fu lentamente dimenticata, e per fortuna non divenne merce di scambio di un noto personaggio del paese spesso privo di  scrupoli, solamente 71 anni dopo, precisamente nel 1992 è stata riscoperta e restaurata  e riconsegnata alla venerazione di quanti amano e onorano, nel Santo Rosario, Gesù e Sua Madre.


[1] Archivio parrocchiale Martellago, carteggio Astori-Simionato, inv. n. 126.41 – cas. 8

[2] La chiesa fu demolita all’inzio del’800.

[3] Archivio di Stato Venezia, Scuole Piccole, b. 235-238.

[4] Archivio di Stato Venezia, Scuole Piccole, b. 430

[5] Archivio di Stato Venezia, statistica demaniale, Scuole piccole, r. 17, f. 129.

[6] Archivio di Stato Venezia, Scuole Piccole, b. 235-238.

[7] Sempre nella medesima riunione don Pietro Simionato comunicò che  avrebbe acquistato a sue spese il prezioso “solaro” sottostante per portare in processione la statua.

[8] Archivio parrocchiale Martellago, carteggio Astori-Simionato, inv. n. 126.41 – cas. 8.

[9] Biblioteca Comunale di Treviso – manoscritto 1631 – anni 1881-1882-1883.

[10] Archivio Parrocchiale Martellago – carteggio statua Rosario di Ferdinando Demetz 1921 – inv. 611.18 – cas. 14.

RESTAURO ANGELI MARMOREI

Sabato 17 dicembre 2011 è stato celebrato la ristrutturazione degli Angeli Marmorei dell’Altare Maggiore.

Discorso pronunciato la sera di sabato 17 dicembre durante la cerimonia di inaugurazione dell’avvenuto restauro degli angeli di pietra dell’altare maggiore della chiesa di Martellago. E’ sempre piacevole accogliere un ospite in un ambiente pulito, luminoso, ordinato e alle volte anche ben arredato. Una casa con il suo giardino che la circonda, sanno raccontano tante cose del proprietario che vi abita, così vuole essere anche per la nostra chiesa, questo spazio sa raccontare tante cose della  comunità di Martellago presente e scorsa. Nel passato, segno d’orgoglio e di distinzione di una comunità di campagna, era spesso la chiesa e il campanile. Nella parrocchiale i villici si identificavano, si sentivano a casa propria, e chi disponeva di maggiori mezzi economici, molto spesso legava le sue ultime volontà terrene con atti di generosità verso i più poveri e verso la chiesa in cui era stato battezzato. Scorrendo i registri economici di questa chiesa che risalgono ai primi del ‘500 si può notare un’intensità sempre presente per la cura di questo edificio. Nonostante le modeste entità delle entrate economiche, la comunità Martellacense, ha sempre affrontato nel corso degli anni con coraggio e determinazione spese grandiose, come quelle del campanile che due anni fa ha compiuto 400 anni dalla sua ricostruzione iniziata nel 1609. E’ importante ricordare che in passato i capifamiglia di diritto partecipavano a molte decisioni inerenti il governo della parrocchiale come:

– modifiche dell’edificio, o eventuali lavori di abbellimento,

– commissione  di dipinti o sculture ad un  determinato artista.

Così avvenne  il 4 giugno 1769,  quando i capi famiglia si radunarono nella sala del Pio Ospitale che sorgeva a fianco della chiesa per prendere una decisione molto importante, cioè mettere ai voti la  ricostruzione della chiesa,  poiché come si legge in un verbale di allora “Ridotta in stato di rovina, e angusta al numero della popolazione; stimolati da voti universali  a Gloria e culto d’Iddio Signore a consolazione spirituale di quell’anime medita quale comune d’intraprendere il restauro, e ingrandimento della chiesa medesima….”.  Oramai non c’era più tempo, la vecchia chiesa del 12° secolo  minacciava il crollo, anche  le impalcature esterne messe a sostegno dei muri perimetrali cominciavano ad evidenziare segni di instabilità gravi. Si decise così a larghissima maggioranza dai 93 capi di casa di dare inizio alla costruzione di un nuovo edificio. I vecchi martellacensi si tassarono in modo rischioso con i proventi della terra, cioè si obbligarono a versare oltre alle solite elemosine anche  quartese doppio per ogni prodotto fino al pagamento di tutti i debiti.   Da una nota – eseguita dopo un anno dalla prima vicinia del 1769 – si apprende che il 6 giugno 1770 si gettarono  le prime fondamenta del nuovo tempio non prima di aver invocato il nome del Signore e del nostro santo titolare Stefano Protomartire. I lavori continuarono per diversi anni fino al 1777 quando il Vescovo di Treviso mons. Paolo Francesco Giustiniani   con somma cerimonia consacrò il nuovo tempio a maggior gloria di Dio. E qui bisogna ricordare anche l’enorme importanza che le confraternite rivestivano nell’amministrazione di una parrocchia, in particolare quella del Santissimo Sacramento, confraternita ancora viva  tra noi e che ebbe a svolgere un ruolo molto importante. Da uno scritto dei primi del ‘900 di mons. Angelo Marchesan, sappiamo che la prima confraternita dedicata al Santissimo Sacramento nella nostra  diocesi,  fu fondata  a Treviso  il 3 febbraio 1496.  E sull’esempio dei trevigiani la confraternita si sparse  nell’ampio territorio della diocesi, cosicché molte pievi si dotarono di questa pia istituzione. Martellago fu una delle prime che volle dotarsi di questa associazione. Il documento più antico che conserviamo nel nostro archivio risale al 1539 – è un piccolo quaderno che raccoglie gli  iscritti e le quote versate. Della fiorente vita dei primi anni fa fede un documento trascritto da Francesco Scipione Fapanni nel 1830 – documento che ricorda come il pittore Bonifacio de Pitati nel 1548 dipinse per questa chiesa un gonfalone o pennello per la non modesta somma di lire 357 – somma rilevante per quei tempi, segno che la confraternita era  disposta anche ad affrontare se necessario dei sacrifici a favore della chiesa e di tutta la collettività. Durante la ricostruzione della chiesa  avvenuta dopo la metà del 1700 – anche i confratelli sono in prima linea per sostenere il parroco e la fabbriceria nell’ingente opera di abbellimento e sostegno economico. Nel 1775 alcuni confratelli sono  a Venezia per  stipulare un contratto per l’acquisto dell’altare maggiore, del pavimento del coro, delle balaustre, dei dossali lignei, già in uso nella chiesa di San Marcuola. Allora i contadini più benestanti – misero a disposizione i propri carri trainati da buoi per trasportare in più viaggi tutto il materiale acquistato, dalle Barche di Mestre fino alle porte di questa chiesa, e tutta la popolazione  ebbe a provare un’immensa gioia quando potè finalmente intonare il Te Deum davanti al Santissimo Sacramento esposto nel nuovo altare.   Ma mancavano ancora degli aggiustamenti a questo spazio interno. C’erano solo tre altari, quello maggiore e i due laterali qui davanti. Inoltre mancava il controsoffitto in tutta la chiesa, il pavimento era di terra battuta,    i muri erano ancora da stabilire… solamente il 10 gennaio 1779 si stende un nuovo contratto per eseguire questi lavori  e nell’occasione si incaricano i pittori Giovanni Battista Canal  e Domenico Fossati alla realizzazione del grandioso affresco raffigurante il martirio di Santo Stefano. Sempre nel medesimo documento si danno indicazioni anche per realizzare  due piedestalli ai lati dell’altare maggiore per collocarvi due statue raffiguranti S. Carlo e S. Francesco o due angeli in pietra tenera. Fu deciso per i due angeli. Mi piace ricordare che la scelta in un primo tempo di raffigurare S. Carlo e S. Francesco derivava molto probabilmente dal fatto che nella  vecchia chiesa  la  pala lignea cinquecentesca raffigurante il patrono del Bissolo era attorniato lateralmente da due tele raffiguranti proprio San Carlo e San Francesco, di queste opere purtroppo si sono perse le tracce. Ma ritorniamo agli angeli che avremo occasione tra non molto di vederli svelati, nonostante accurate ricerche non esiste nessuna ricevuta attestante il costo o l’eventuale  nome dell’esecutore, sono stati eseguiti ex novo? sono sculture recuperate da un’altra chiesa? Questo non lo sapremo mai a meno che non intervenga una scoperta d’archivio… Dal recente restauro è emersa una novità cioè che tutti e due gli angeli possiedono un’ala di legno, cioè le ali verso il muro sono di legno dipinto ad imitazione della pietra. Ma ciò non era sfuggito al  nostro concittadino Francesco Scipione Fapanni se nei suoi diari del 1833, precisamente il 4 marzo annotava “Morì a Martellago Biagio Melinato detto Balante, bottaio e legnaiolo valente, il quale con industria fece le colonne di legno della cantoria dell’organo della chiesa di Martellago e seppe in legno imitare una ala di un angelo che è a fianco del tabernacolo dell’altare maggiore”.  Questo valente artigiano ispirò anche una novella al Fapanni dal titolo: “Biagio bottaio”  così scrisse: il dotto suo pievano l’amava grandemente per la sua onoratezza, ed abilità in qualsiasi mestiere. E non solo come legnaiolo si serviva il parroco di Biagio nei bisogni della sua casa, ma valevasi anche dell’industria di lui, per tutto ciò che occorreva di accomodare il vecchio, e far di nuovo in chiesa. Per tacere di altri lavori, si può questo solo ricordare. Non so per quale accidente, cadde spezzata un’ala tesa di un angelo scolpito in marmo sul maggiore altare. Per le difficoltà di avere pronto uno scultore a rimettere quell’ala, il pievano dimandò a Bigio se gli bastava l’animo ad eseguire quel lavoro; ed egli rispose, che si proverebbe. Lo compì di fatto con tale maestria e precisione, che non si poteva capire quale delle due ali fosse la vecchia e quale la nuova.” Fin qui la novella, e forse non  sapremo mai quale delle due sia l’ala di Biagio Melinato , a mio giudizio un altro artigiano è intervenuto dopo la metà dell’800 quando a seguito dei lavori di collocazione della nuova corona dorata sopra l’altare maggiore sappiamo che accidentalmente una trave cadde dall’impalcatura e andò a conficcarsi nella tela del Damini, forse la sua corsa verso il basso terminò contro l’angelo, comunque anche allora c’erano bravi restauratori che hanno saputo ben mascherarci la realtà. Arrivati a questo punto non mi resta che ringraziare di vero cuore la persona che ha offerto il presente restauro, so che è presente qui tra noi e che desidera mantenersi in disparte, senza la sua sensibilità e generosità la nostra chiesa sarebbe stata un po’ più grigia,  grazie ancora a nome di tutta la comunità. Grazie anche all’impresa di Ulisse Minello che ha risolto con celerità e competenza l’annoso e complicato problema delle impalcature che dovevano essere a norma di legge, da ultimo voglio complimentarmi con la restauratrice Eva De Lazzari   che ha compiuto un bellissimo lavoro,  comunque poi brevemente vi illustrerà il suo intervento anche attraverso l’ausilio di alcune immagini.

Grazie ancora.  – Martellago 17.12.11                                                                                luca luise

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